domenica 19 giugno 2011

Italiano

A ZACINTO
Né più mai toccherò le sacre sponde Ove il mio corpo fanciuletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell’onde Del greco mar, da cui vergine nacque Venere, e fea quell’isole feconde Col suo primo sorriso, onde non tacque Le tue limpide nubi e le tue fronde L’inclito verso di colui che l’acque Cantò fatali, ed il diverso esiglio Per cui bello di fama e di sventura Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura.

(Ugo Foscolo)



L’INFINITO
«Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare»

(Giacomo Leopardi)



IL LAMPO

<< E cielo e terra si mostrò qual era: la terra ansante, livida, in sussulto; Il cielo ingombro, tragico, disfatto: bianca bianca nel tacito tumulto una casa apparì sparì d’un tratto; come un occhio, che largo, esterrefatto, s’aprì si chiuse, nella notte nera >>

(Giovanni Pascoli)

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